A cura della Dott.ssa Marsela Mersini

Il principio del ne bis in idem (come inteso dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) stabilisce che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.”

In materia di market abuse il principio interessa non solo in relazione agli illeciti penali, ma anche con riferimento al procedimento amministrativo nel caso in cui la sanzione che lo conclude, abbia natura sostanzialmente penale. In relazione alla gerarchia delle fonti del nostro ordinamento, il principio del ne bis in idem trova riconoscimento anche all’interno del diritto dell’Unione europea, precisamente all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali (CDFUE) il quale afferma che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.”

A livello nazionale l’art. 649 del c.p.p. costituisce la trasposizione, in ambito penale, del divieto di doppio giudizio citato dalla Convenzione in quanto stabilisce che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.”

In questo quadro si comprende, quindi, come tale principio rappresenti sia a livello internazionale, sia a livello europeo e sia a livello nazionale un inderogabile principio di civiltà giuridica e che non vi sia, tra i diversi livelli, una divergenza contenutistica quanto, per lo più, una differenza interpretativa.

Sulla base della contrapposta volontà degli Stati membri, che intendono applicare entrambe ed in forza della formulazione letterale dell’art. 4 del Protocollo n. 7 (che opera un espresso richiamo alla “condanna penale” e alla “procedura penale”) deve ritenersi pienamente legittima la sovrapposizione di una procedura sanzionatoria di carattere amministrativo e di un procedimento penale per lo stesso fatto illecito, non trattandosi di una duplicazione del giudizio penale.

Il diritto a non essere puniti (ne bis in idem sostanziale) o giudicati (ne bis in idem processuale) più volte per lo stesso fatto coinvolge principi fondamentali di civiltà giuridica[1], quali l’interesse alla certezza del diritto, le garanzie individuali degli imputati e l’economia processuale[2].

La nuova disciplina eurounitaria dei market abuse prevede, a tutela dei mercati finanziari, sia sanzioni penali, imposte dalla Direttiva 2014/57/UE, che sanzioni amministrative imposte dal Regolamento UE N. 596/2014.

Il sistema sanzionatorio disciplinato dalla Direttiva e dal Regolamento deve essere coordinato con i principi della Convenzione in tema di ne bis in idem.

La normativa europea, anziché armonizzare le norme applicabili, lascia, invece, tale delicato compito alle scelte discrezionali dei singoli Stati membri generando numerose complicazioni. Indipendentemente dagli approdi giurisprudenziali della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia concernenti il principio del ne bis in idem, si prospetta l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per mancato recepimento del diritto dell’Unione europea.

Sul punto, l’unica difesa del trasgressore riguarda la necessaria attenzione da porre a tale principio, che va a discapito di una maggiore celerità ed efficacia dei procedimenti, in quanto il procedimento amministrativo, libero dalle “formalità” penali, viene ritenuto maggiormente rapido rispetto al procedimento penale. Lo scenario descritto in merito al principio del ne bis in idem è oggi mutato a seguito della sentenza della Corte EDU A e B c. Norvegia. Tale pronuncia rappresenta un self-restraint da parte della Corte di Strasburgo che ritiene utilizzabile una nuova chiave di verifica per la sussistenza di una violazione del divieto di doppio giudizio nell’ordinamento interno di uno Stato membro.

Nel caso in cui, in relazione allo stesso fatto, siano state comminate sia sanzioni penali che amministrative, esse possono coesistere qualora sussista tra loro “una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”.

Da ultimo alla sentenza della Corte EDU A e B c. Norvegia è seguita la sentenza della Corte di Lussemburgo del 20 marzo 2018 con la quale la Grande Sezione della Corte UE è intervenuta nuovamente sul principio del ne bis in idem in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La pronuncia aveva ad oggetto controversie che vedevano contrapposte la Consob e cittadini italiani riguardo alla legittimità di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazioni di norme in materia di abusi di mercato.

Chiariti i contenuti dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e l’applicabilità della norma al caso di specie, la Corte ha elaborato il seguente principio: “il cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale ed amministrativa può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato, circostanza che spetta al Giudice del rinvio verificare”.

Tuttavia la Corte stabilisce che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale “non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti da tale normativa, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati dalla stessa non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti”, sottolineando quindi come il doppio binario deve pur sempre garantire il rispetto del principio di proporzionalità.

 

 

 

 

[1] La Corte Costituzionale ha definito il principio del ne bis in idem come un “principio di civiltà giuridica” (così C. Cost., ord. 4-5 maggio 1995, n. 150).

[2] In tal senso, Corte Cost. 21 novembre 2006, n. 381; 16 luglio 2004, n. 230; 20 giugno 2008, n. 219.